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Sistri: paradossi apparenti

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Sistri: paradossi apparenti Empty Sistri: paradossi apparenti




A cura dell'ing. Giovanni Maione

Ogni giorno ha la sua pena, oggi tocca riparlare del Sistri. Ultimamente lo faccio malvolentieri perché il livello del dibattito è scaduto a livelli preoccupanti. E pare non esista più uno spazio di mediazione tra le parti in causa, ossia tra le imprese e il ministero.
Quello che accade in questo paese è da non credersi.
La gestione illegale dei rifiuti in Italia vale, secondo stime dell’Eurispes, sette miliardi di euro l’anno. Si tratta di numeri enormi e di un mercato di dimensioni spropositate.
Un operatore professionale della filiera dei rifiuti che agisca secondo le regole non ha nessuna chance competitiva nei confronti del suo omologo criminale, tale è il divario economico tra una gestione ambientalmente sostenibile dei nostri scarti (appesantita, spesso, da inutili balzelli ed adempimenti) e le facili vie di chi attenta alla salute del prossimo e fa scempio del territorio.
Si aggiunga poi che, in un periodo di congiuntura economica sfavorevole come quello attuale, la tentazione di ricorrere a soluzioni meno dispendiose fa capolino anche presso realtà dove queste scelte sono piuttosto inconsuete.
Orbene, in un paese normale la parte sana di questo settore, strategico sotto diversi punti di vista, dovrebbe reclamare e, anzi, pretendere misure concrete dallo Stato per tutelare il proprio mercato ed i propri lavoratori in una battaglia che, altrimenti, la vedrebbe inevitabilmente soccombere.
In tale contesto, un idoneo sistema di tracciabilità dei rifiuti rappresenta senz’altro, se coniugato ad altri strumenti tradizionali di sorveglianza e controllo attivo, un’efficace arma di contrasto agli illeciti ambientali ed una risposta alle legittime esigenze di cui sopra.
Ebbene in Italia, che paese normale non è, del sistema di tracciabilità proposto dal ministero le imprese chiedono l’abolizione a gran voce.
Tralasciando la risibile ipotesi secondo cui l’opposizione monti da chi opera nell’illegalità (che, allo stato attuale, non ha nulla da temere da questo sistema), tutta questa poco commendevole vicenda ci porta a due conclusioni. La prima, logica e di buon senso, è che i nostri amministratori non sono stati in grado di mettere in piedi un sistema funzionante e realmente in grado di perseguire gli scopi preposti, a detrimento dell’interesse economico delle aziende del settore (e della tutela ambientale, ci si consenta di aggiungere). La seconda, ben più angosciante, è che dette aziende non ritengono che il ministero possa emendare il sistema, non nutrono alcuna fiducia in chi le amministra e, detto in termini brutali, non credono nello Stato. E preferiscono tenersi formulari ed ecomafie perché chi aveva promesso soluzioni ha dato finora pessima prova di sé. Forse non hanno ragione, ma sicuramente non hanno torto.
C’è qualcuno che da questa storia esce con le ossa rotte, più delle aziende, ed è l’ambiente inteso nell’accezione più ampia del termine. La continua azione di sciatto rimaneggiamento della norma ha infatti prodotto, come deleterio effetto collaterale, incongruenze, buchi, dubbi interpretativi e una deregolamentazione di fatto. Una palude che, per faccendieri abili e disinvolti, si traveste da oceano ed è allegramente cavalcata.
Fin qui i risvolti tecnici. Sul piano politico si può certamente affermare che il livello di tutela ambientale si è notevolmente abbassato proprio negli ultimi anni e questo è un risultato di governo del territorio di cui ciascuno deve assumersi la propria parte di responsabilità.
Il Sistri, in cui il ministro Orlando ha mostrato di confidare decretandone (primo in assoluto) l’avvio, ha davvero margini di miglioramento significativi?
Vorremmo crederlo, ma i precedenti ci inducono ad opposte conclusioni.
La proroga mascherata da sperimentazione, contenuta nel decreto legge di fresca conversione, tradisce un ripensamento su tutta la questione. Alla scadenza di questa sorta di “sospensiva” del sistema o, se preferite, di doppio binario facoltativo, saranno decorsi i termini contrattuali del rapporto con Selex (ma non risulta che il MATTM abbia manifestato intenzioni di recesso).
Sarà l’occasione giusta per definire compiutamente questo infelice capitolo?
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